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1. Nord America
28.07.2025
Denver: la città che (finalmente) non è solo una tappa

Denver ha un problema. Troppo spesso viene usata come base: si atterra, si noleggia una macchina, si punta dritti verso le montagne. Ma chi si ferma davvero a esplorarla capisce presto che la Mile High City merita molto di più che una notte di transito e un brunch preso di corsa.
Storia, natura, una scena gastronomica che non ha più nulla da invidiare a quella di città più quotate. E un'identità che si è scrollata di dosso la polvere del vecchio West senza rinnegarla.

Un rapporto con la natura che non è solo da cartolina

Denver non gioca a fare la verde, lo è davvero. Lo si capisce appena si entra nei Denver Botanic Gardens, dove si lavora concretamente per conservare la biodiversità alpina, o si dà un’occhiata al nuovo Populus Hotel, il primo edificio carbon positive degli USA. Un progetto ambizioso, che unisce architettura biofilica e materiali ispirati ai pioppi del Colorado.
La sostenibilità qui non è più un’etichetta da mettere sul menù, ma un modo di vivere la città. Anche quando si parla di cucina.


Mangiare a Denver: poco rumore, ottime forchette

Negli ultimi anni, Denver ha costruito – senza troppo clamore – una scena gastronomica interessante, concreta e, in certi casi, sorprendente. Merito di chef locali, filiere corte e un certo talento nel mescolare radici culturali diverse.

Tocabe: la cucina indigena che non cerca di piacerti. Ti racconta qualcosa.

C’è chi apre un ristorante per trend, e chi – come Ben Jacobs – lo fa per raccontare una storia familiare. Tocabe è uno dei pochissimi ristoranti nativi americani del paese, nato per dare spazio a ingredienti e ricette che esistevano ben prima del concetto stesso di “cucina americana”.
Dal bisonte al mais blu coltivato dagli Ute Mountain Ute, qui tutto ha una provenienza e un perché. E si sente. La cucina è semplice, ma con un’identità fortissima. Il piatto da ordinare? Le costolette di bisonte con salsa ai mirtilli. Non si dimenticano facilmente.


Buckhorn Exchange: il passato che continua a cucinare

C’è chi fa storytelling, e chi semplicemente è storia. Buckhorn Exchange apre nel 1893 e da allora ha servito trappers, presidenti e qualche centinaio di animali impagliati (almeno a giudicare dalle pareti).
È uno di quei posti in cui entri per curiosità e finisci per ordinare un piatto che in nessun altro contesto ti verrebbe voglia di provare: ostriche delle Montagne Rocciose (non sono ostriche), serpente, bisonte, cervo.
Qui la cucina è una scusa per immergersi in un pezzo di West ancora incredibilmente vivo. A modo suo, ovviamente.


The Fort: un ristorante? Anche. Un esperimento culturale? Decisamente.

Un po’ fuori città (verso Red Rocks), The Fort è la replica fedele di un trading post dell’800. Costruito in adobe, immerso nella prateria e affacciato su tramonti irreali, propone piatti storici raccolti da diari originali dell’epoca.
Midollo, lingua di bisonte, filetto Gonzalez con chili verde… ma anche flauti nativi suonati dal vivo, tour guidati, mostre. Sì, è una rievocazione. Ma fatta con rispetto e profondità, non con lo zucchero a velo.


Pasque: sostenibilità, ma senza la retorica

Nel cuore della città, al piano terra del Populus, Pasque è la risposta contemporanea a chi cerca un’esperienza gastronomica pulita, equilibrata, senza sovrastrutture.
Il menu dello chef Ian Wortham lavora su ingredienti locali, stagionalità, niente sprechi. E non è un claim pubblicitario: è tutto pensato per funzionare così, dal piatto al biodigestore installato in cucina.
Design forestale, cucina concreta, ricotta di pecora che torna sia nel primo che nel dolce. Un posto che non ha bisogno di esagerare per farsi notare.


Conclusione? Denver è finalmente uscita dall’ombra delle montagne

E non lo ha fatto alzando la voce, ma mettendo insieme luoghi, sapori e idee che non hanno bisogno di troppa presentazione. Basta sedersi, assaggiare, guardarsi attorno.
E magari restare un giorno in più. Tanto le montagne non scappano.